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Come difendersi dal greenwashing? Con l’etichetta climatica!

Una recente ricerca dal titolo Gli approcci alla sostenibilità della Grande Distribuzione Organizzata (GDO) italiana ha studiato le pratiche di sostenibilità e il grado di maturità della Grande Distribuzione Organizzata italiana. L’indagine è stata condotta da Accenture insieme a Jeme, Junior Enterprise dell’Università Bocconi: ha preso in esame tutte le aree e le funzioni organizzative. Le aziende sono state coinvolte attraverso questionari e interviste di approfondimento, condotte tra marzo e aprile 2020. Dai dati raccolti emergono segnali positivi… ma manca ancora un approccio di sistema.

La comunicazione risulta essere l’area più sviluppata, mentre l’aspetto più critico riguarda i sistemi di misurazione, ancora acerbi. Inoltre, viene rilevata la necessità di trovare forme di incentivi per favorire i comportamenti sostenibili dei consumatori.

Quali sono i sistemi di misurazione della sostenibilità?

Oggi sono disponibili e fruibili numerosi sistemi di misurazione della sostenibilità, sia dei servizi sia dei prodotti. Nel nostro settore, quello agroalimentare, il cibo impatta sull’ambiente attraverso molteplici vie. Per misurare tale contraccolpo, si deve tener conto di tutte le fasi della filiera produttiva, ovvero dell’intero ciclo di vita che porta un alimento dal campo fino alla tavola.

Per rendere più chiaro il concetto si potrebbe dire che ciascun alimento lascia un’impronta idrica ed un’impronta carbonica: la prima indica quanta acqua dolce viene utilizzata o inquinata per produrre l’alimento tenendo conto anche del luogo in cui viene prelevata l’acqua; la seconda si riferisce invece alle emissioni di gas serra lungo la filiera alimentare di un dato cibo e si misura in grammi di anidride carbonica equivalenti.
Utilizzando questi parametri si potrebbero classificare i cibi in base al loro impatto sull’ambiente. Ad esempio, se si guarda l’impronta idrica, si nota che in cima alla classifica degli alimenti che richiedono il maggior impiego di acqua ci sono quelli di origine animale (carne, pollame), mentre i vegetali occupano le posizioni più basse.
Se fosse possibile informare il consumatore sulla quantità di CO2 necessaria a produrre carne rossa, ciò potrebbe dissuadere anche la persona più ghiotta all’uso sconsiderato della stessa, comunque indurre maggior consapevolezza che quell’abitudine personale determina impatto significativo.
Infine è bene tenere presente che le imprese hanno a disposizione numerosi sistemi di misurazione e indicatori per quantificare il grado di sostenibilità di un servizio o di un prodotto: ad esempio gli standard UNI ed ISO. Di conseguenza hanno la possibilità di controllare le produzioni, i loro impatti e impronte, di applicare strategie di sostenibilità efficaci.

Che cos’è l’etichetta climatica?

Noi, consumatori finali, possiamo diventare protagonisti di questo tempo: se opportunamente informati abbiamo i mezzi per plasmare, con le nostre scelte, l’offerta del mercato. Uno dei settori su cui possiamo incidere di più è senza dubbio quello alimentare, che rappresenta uno dei campi economici meno sostenibili, responsabile di circa un quarto delle emissioni di gas serra del mondo.
Certo che il percorso verso l’etichettatura climatica (o carbonica-idrica), agendo sull’informazione e la coscienza individuale, sarebbe uno strumento reale ed efficiente per far virare gli acquisti su articoli con punteggi ‘ambientali’ migliori, e quindi più sostenibili.

Anche il consumatore più svogliato, se messo davanti a prodotti analoghi con etichetta climatica, sceglie sempre quello con minore impronta carbonica.
In alcuni paesi scandinavi vi sono i primi tentativi di fornire ai clienti notizie più precise. A Stoccolma è nato il primo negozio climatico in cui la valuta è l’equivalente di anidride carbonica e i clienti hanno un budget settimanale di CO2. Certo, si tratta dei primi esperimenti, ma la direzione è segnata.

Indagini di mercato hanno evidenziato che oltre due terzi dei consumatori in Europa vedrebbero con favore l’introduzione dell’etichettatura carbonica, che potrebbe migliorare la loro esperienza di acquisto. La maggiore consapevolezza e le scelte più informate rappresentano la svolta per lasciarsi alle spalle le insidie del greenwashing e imporre ai grandi produttori modelli di business meno ingannevoli, quindi
maggiormente seri ed aggiornati.