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Ucraina: la risposta è sempre la biodiversità

La guerra russo-ucraina sta producendo una catastrofe alimentare

di Nicolò de Trizio, Comitato di Condotta Slow Food Bologna. Fin dal 2020 sono stati segnalati aumenti delle quotazioni delle materie prime alimentari negli scambi commerciali mondiali: la FAO ha segnalato che i prezzi di cereali, come pure di oli vegetali e zucchero, hanno ricevuto una spinta verso pesanti rincari. Con la pandemia e l’incertezza – dovuta agli effetti dei cambiamenti climatici – si è aperto uno scenario di nervosismi e speculazioni che spinge gli Stati verso gli accaparramenti per mettere in sicurezza i depositi alimentari. Gli agricoltori sono stati costretti ad affrontare rincari del costo dei carburanti, dei concimi e dei fertilizzanti.

In più si è aperta una nuova crisi che si sovrappone e ne amplifica le conseguenze: il blocco delle esportazioni di grano originata dalla guerra russo-ucraina. I Paesi europei, per ora, ne vengono toccati in modo contenuto poiché Bruxelles ha messo insieme un pacchetto di misure a sostegno degli agricoltori. Ma anche in virtù delle scorte soddisfacenti.

Cosa dice la FAO?

Il vicedirettore generale della FAO Maurizio Martina, nell’intervista dello scorso 6 Maggio 2022, ha descritto uno scenario inquietante: “La Russia è il principale esportatore di grano al mondo, l’Ucraina il quinto. Insieme, garantiscono il 19% della produzione mondiale di orzo, il 14% della produzione di grano e il 4% della produzione di mais, contribuendo a oltre un terzo delle esportazioni globali di cereali. I due Paesi sono anche i principali fornitori di colza e coprono il 52% del mercato mondiale delle esportazioni di olio di semi di girasole. L’interruzione della catena di approvvigionamento nella filiera di produzione di cereali e semi oleosi ucraina e russa e le restrizioni alle esportazioni metteranno a rischio la sicurezza alimentare di molti Paesi, soprattutto quelli in via di sviluppo o a basso reddito dell’Africa, dell’Asia e del Medio-Oriente”.

Il sistema alimentare mondiale è un meccanismo interconnesso di produzione, trasformazione, trasporto, distribuzione e consumo dei prodotti alimentari. Queste attività dipendono da altri mercati collaterali, come ad esempio il mercato dell’energia (per la trasformazione e il trasporto) e quello degli input agricoli (tutto ciò che è necessario per coltivare un raccolto come macchine, fertilizzanti, pesticidi, paglia).

Lo sapevi che il nostro pane è una commodity?

Le derrate alimentari vengono trattate come commodities, cioè merci scambiate sul mercato in base alla fruibilità e senza differenze qualitative: il commercio dei cereali non segue la reale disponibilità, ma le quotazioni di borsa, al pari di petrolio, gas, alluminio. Se il mercato si innervosisce, anche i cereali diventano oggetto di speculazioni.

Quindi ci poniamo la domanda: è giusto che i cereali, la base del nostro pane quotidiano, siano trattati al pari del petrolio o dell’alluminio?

Nella seconda metà del secolo scorso le multinazionali ed i governi dei Paesi Occidentali misero a punto varietà di grano ad alta resa che aumentarono le produzioni, anche grazie a siti industriali tecnologicizzati. Ciò consentì di alleviare le carestie, riducendo la fame e la mortalità in vaste aree del mondo. Fino a quando il complesso ingranaggio della globalizzazione ha funzionato, i panifici del mondo sono stati pieni di pane a basso costo, anche se di gusto e di qualità non dei migliori. Nessuno si è posto tanti problemi: come quello che i produttori dovevano acquistare solo le sementi brevettate dai gruppi mondiali agroalimentari, oppure investire in fertilizzanti e pesticidi per combattere parassiti e infestanti. Molti popoli – che per millenni avevano coltivato il proprio grano – hanno cessato le produzioni locali a favore della creazione di immensi deserti agricoli, in aree del modo distanti migliaia di chilometri dai centri abitati. A questi hanno consegnato le sorti di buona parte del loro sostentamento.

Ora il sistema si è incrinato e sta mettendo in ginocchio la sicurezza alimentare di centinaia di milioni di persone.

La filiera giusta è quella sostenibile

Per molti la risposta a tutto ciò risiede nella cosiddetta “filiera corta”, il cosiddetto km 0. Senz’altro ha molti aspetti positivi, perché restituisce importanza alle produzioni locali e stagionali; promuove l’economia locale; riducendo gli imballaggi e l’emissione di CO2, risulta meno impattante. Ma anche questo modello, se applicato ovunque, ha dei limiti. Soprattutto nelle aree aride e maggiormente soggette alla siccità, nelle quali c’è il serio rischio di non avere disponibilità sufficiente cibo per tutti.

Occorre considerare la filiera giusta, equa e sostenibile: giusta nel prezzo (dalla produzione al consumo); sostenibile in termini ambientali, economici; equa nelle relazioni sociali. In tal senso gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030 indicati dalle Nazioni Unite possono essere riferimenti importanti per ripensare a sistemi di produzione e distribuzione alimentare equi e sostenibili.

La risposta è la biodiversità

Secondo la nostra opinione per contrastare efficacemente le carestie e l’insicurezza alimentare è necessario preservare ed anzi valorizzare la biodiversità, cioè contrastare l’uniformità delle produzioni agricole per restituire le unicità ai territori e l’autonomia agli agricoltori.
Torna alla memoria l’insegnamento storico della grave carestia che si realizzò in Irlanda nel 1800: in quel periodo la fragile sussistenza alimentare della popolazione era basata sulla coltivazione di una sola tipologia di patata. Una spora velenosa nell’arco di poco tempo distrusse i raccolti di quel tubero determinando la morte per fame di circa un milione di persone ma anche un esodo migratorio di proporzioni bibliche. Solo grazie all’impianto di altri ceppi di patate resistenti alla spora consentì di uscire dalla carestia e assicurare sufficienti produzioni di cibo.

Oggi c’è la guerra in Ucraina che ha dimostrato la fragilità del sistema del mercato globale, ma potranno sorgere altre crisi di altro tipo ed in altre zone del mondo, idonee a produrre simili problemi.

Con i grani antichi tuteliamo la biodiversità agro alimentare

In Italia negli scorsi decenni sono state soppresse tante coltivazioni di cereali locali, non solo qualità di grano, ma anche miglio, sorgo e altre tipologie. Oggi al contrario, vengono riscoperte le varietà di grani antichi dimenticati che, pur avendo una resa minore in campo, hanno meno bisogno di diserbanti e non necessitano di fertilizzanti perché con le lunghe radici trovano i micronutrienti dal terreno. Facciamo alcuni nomi che stanno tornando in auge: varietà Saragolla, Senatore Cappelli, Mais Marano. Assistiamo all’aumento delle aziende che si trasformano in biologico assicurando prodotti più sani, dai profumi e gusti diversi, grazie al recupero delle sementi autoctone.

Gli agricoltori con la loro sapienza ed esperienza sul campo devono poter scegliere e gestire in autonomia le produzioni, con lo scopo di assicurare non solo la loro giusta retribuzione, ma anche dare a noi tutti la possibilità di avere sulle nostre tavole pane sano e di buona qualità, quello che ci serve e senza inutili sprechi.

Vuoi aiutarci a sostenere le Comunità in Ucraina?

In Ucraina ci sono 12 comunità Slow Food, 19 cuochi dell’Alleanza, 21 prodotti nell’Arca del Gusto e altri 50 già selezionati e pronti per essere catalogati. Molti membri della rete sono contadini e allevatori che stanno facendo il possibile per non lasciare le loro terre e gli animali. Sono rimasti per proteggere, nutrire e aiutare. Con Slow Food abbiamo attivato una raccolta fondi per sostenere economicamente le loro necessità. Aiutiamoli affinché il cibo possa essere un ponte verso la pace.

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