di Nicolò de Trizio, Comitato di Condotta.
Ammetto di essere sempre stato affascinato dalla cucina orientale, così diversa dalla nostra tradizione europea, ma anche gustosa e suadente. Peraltro, quando mi siedo nei locali di cucina asiatica, noto, con non poco disagio, che l’età media degli avventori dei ristoranti asiatici è nettamente inferiore a quella che traspare dai miei capelli grigi. Al contrario trovo più omogenea frequentazione generazionale nei ristoranti tradizionali, dove la mia età matura è quasi sempre condivisa nei tavoli circostanti.
Sarà questione di gusti, di consuetudini o di costi, comunque mi sembra che ormai sia consolidata la tendenza secondo cui la cucina asiatica è favorita da tanti e sempre più giovani.
La cucina asitica è entrata prepotente nelle nostre abitudini
Ormai la cucina asiatica è penetrata in maniera rilevante nella ristorazione e nei gusti popolari nazionali. Tutti (o quasi) hanno sperimentato un ristorante cinese, giapponese, coreano o tailandese, o più genericamente asian-fusion. In questi locali si può trovare un ricco assortimento di specialità con l’intento di accontentare la clientela più varia possibile, sfruttando la scarsa conoscenza degli avventori ma anche solleticando la loro curiosità ed i loro palati con gusti ed aromi inconsueti.
In particolare da diversi anni il Sushi è arrivato sulle nostre tavole venendo identificato come la “cucina giapponese”, ma essa rappresenta solo una piccola parte della tradizione culinaria tradizionale che, in realtà, offre molto di più che porzioni di riso e pesce crudo.
È vero, alcuni ristoranti richiamano storia e qualità nipponiche proponendo una maggiore selezione e coerenza dei piatti da servire, però in Italia è più facile sperimentare proposte di qualità medio-bassa, cioè le specialità più conosciute, come le barche di sushi e sashimi od improbabili tempure.
Breve storia della tradizione gastronomica nipponica
Proviamo a fare un breve richiamo storico della tradizione gastronomica nipponica. Prima di tutto si deve rammentare che fino al IX secolo questa è stata contaminata dalla Cina, in ragione dei traffici commerciali tra i due paesi, che favorirono lo scambio di gusti e sapori. In seguito il Giappone prese una strada del tutto autonoma in ambito culinario, affinando le sue tecniche, ricercando ingredienti locali e gustosi, ma anche dedicando grande attenzione all’estetica, all’eleganza ed alla raffinatezza.
Una delle caratteristiche dell’arte culinaria giapponese è la ricerca della bellezza e del gradimento nell’impatto visivo, inseguendo la seguente filosofia: il cibo non va considerato solo nutrimento, ma acquista un valore estetico di bellezza e di armonia; perciò esso, nella preparazione e presentazione, viene considerato il risultato di un percorso interiore e profondo che rende le persone felici e soddisfatte nella vita.
Il periodo Edo, dal 1603 al 1868, durante il quale lo shogunato presso l’odierna Tokyo prevalse sull’imperatore a Kyoto, rappresentò l’età d’oro della cucina giapponese, quella che è arrivata fino ai nostri tempi. La dieta del periodo Edo assomiglia a quella odierna e riprende l’attuale menu costituito
da 3 pasti principali, differenziando i pasti ordinari da quelli cerimoniali. I pasti ordinari di solito consistevano in riso, zuppa e un contorno o due, oltre a sottaceti (tsukemono); il pasto cerimoniale era accompagnato da un rituale di degustazione di sakè, si svolgeva circa una volta alla settimana, gli
ingredienti più comuni erano riso, tofu, daikon (ravanello bianco locale), verdure di stagione e funghi.
Non si deve dimenticare che la cucina giapponese è soprattutto cucina regionale, dove alcuni grandi principi vengono declinati in base ai gusti locali e agli ingredienti disponibili. Il risultato è una varietà ampia di ricette, che si è progressivamente evoluta nei modelli di consumo in tutto il paese, anche per l’introduzione di innovazioni straniere (nuovi ingredienti, nuove tecniche culinarie) che si sono rapidamente diffuse e adattate in tutto il paese.
Il nigiri-sushi, inventato da Hanaya Yohei (1799–1858), agli inizi del XIX secolo era diventato molto popolare in Edo e venduto come cibo da strada nelle piccole bancarelle; esso era composto da bocconcini di riso aromatizzato all’aceto condito con pesce crudo o crostacei preparati manualmente in modo veloce. Dopo il gravissimo terremoto del 1923, i cuochi che preparavano il nigiri-sushi lasciarono Edo e si dispersero in tutto il Giappone, rendendo la ricetta popolare in tutto il paese, ed oggi di consumo
mondiale.
Nel 1868 l’imperatore Meiji revocò il divieto di consumare carne rossa e promosse la cucina occidentale, sicchè da un lato vennero introdotte ricette e tecniche straniere, ampliando la gamma di gusti della cucina giapponese; dall’altra si incrementò il consumo di carne e proteine di derivazione animale,
determinando diminuzione del consumo di riso.
Fra tradizione e modernità
Le ricette di origine estera sono state adattate ai gusti e agli ingredienti locali (Yoshoku), quindi si differenziano dalla cucina tradizionale giapponese (Washoku), ma fanno parte comunque della cultura gastronomica popolare.
Alcuni esempi di cucina Yoshoku sono:
- Omurice (riso avvolto in una frittata con carne)
- Naporitan (spaghetti con peperoni, cipolla, funghi, salsiccia e pancetta)
- il Korokke (crocchetta di patate con piccoli pezzi di carne e verdure)
- il Curry giapponese, introdotto in Giappone dall’India durante il periodo di amministrazione britannica
- il Tonkatsu è una cotoletta di maiale fritta previa impanatura all’inglese (farina, uovo sbattuto condito, pangrattato) e servita con salsa dolce Otafuku, cavolo cinese e riso
La cucina Washoku comprende piatti elaborati esclusivamente con ingredienti autoctoni giapponesi: aceto di riso, salsa di soya, dashi, alghe e miso. Si distinguono ulteriormente due rami del Washoku:
- il “kaiseki-ryori”, ovvero il pasto offerto dai samurai ai propri ospiti
- il “cha-kaiseki”, vale a dire il banchetto che precede la cerimonia del tè
Questo è indicativo della complessità e della ritualità che sottende questo approccio culinario. Il taglio
e lo sminuzzamento del cibo riveste un ruolo fondamentale. Va fatto in modo che il boccone sia facilmente afferrabile con le bacchette. Attorno all’arte del taglio vi è anche una lunga tradizione di coltelleria giapponese.
I piatti principali
Vengono riassunte di seguito alcune preparazione che rientrano nella cucina Washoku: sushi, tempura, shabu shabu, soba, udon, ramen, misoshiru, okonomiyaki, tsukemono, takoyaki.
- Sushi e sashimi: gli ingredienti principali e distintivi di queste due pietanze tradizionali sono il riso condito con aceto, il pesce crudo, selezionato e affettato con estrema cura. Il pesce, oltre che crudo, può anche essere cucinato in stile teri-yaki con una glassa di salsa di soia, oppure in stile “saikyo-yaki ” marinato in saikyo miso e in stile “mirin-zuke” marinato in mirin (vino di riso zuccherato) prima di grigliare. Quasi tutti i tipi di pesce possono essere usati ma i pesci popolari includono sgombro e salmone.
- Tempura: è un tipo di frittura in olio di sesamo di pesce e verdure, valorizzate dalla pastella di farina, acqua e uova.
- Shabu shabu e sukiyaki: sono entrambi piatti in cui domina la carne, scottata nel brodo (dashi). Gli ingredienti vengono cucinati morso per morso sul tavolo nel corso del pasto, piuttosto che tutti in una volta, in modo simile alla fonduta.
- Soba e udon: tagliatelle rispettivamente di grano saraceno e di farina bianca, sono serviti sotto forma di zuppa
- Ramen: la base è costituita da brodo preparato con pesce, ossa di pollo o di maiale, salsa di soia, miso e sale, a cui vengono aggiunti spaghetti e fettine di maiale arrosto, bambù fermentato, verdure, uova. Ne esistono infinite varianti, sicchè in Giappone sono numerosissimi i ristoranti specializzati solo nella preparazione di questa ricetta.
- Misoshiru (zuppa di miso): viene preparata con il brodo di dashi, preparato con alga kombu e tonno essiccato, affumicato e fermentato, in cui viene sciolta la pasta di miso, ottenuta dalla soia fermentata, con aggiunte di tofu, erba cipollina e altri ingredienti in base alle stagioni.
- Okonomiyaki: è uno dei tipici cibi “da bancarella”, preparato con una pastella di farina, cotta sulla piastra e ripiegata con un ripieno di carne, uova, verza, ma anche soba e ingredienti di recupero.
- Tsukemono: sottaceti giapponesi, svolgono un ruolo in ogni pasto tradizionale giapponese. Sono cetrioli, ravanelli, cavolo cappuccio e altre verdure marinate che forniscono consistenza croccante alle vivande, nonché nutrienti sani e colture probiotiche.
- Tofu: storicamente una parte importante della dieta giapponese a causa delle tradizionali restrizioni buddiste contro il consumo di carne; è ottenuto dalla cagliatura del latte di soia, poi pressato in blocchi con strumenti appositi dedicati. Viene fritto e servito in brodo dashi per il piatto “agedashi tofu”, oppure sobbollito in acqua e mangiato con salsa di soia o altri condimenti, oppure glassato con miso e grigliato in stile “dengaku”.
Questa breve carrellata storico-gastronomica non esaurisce certamente l’argomento della cucina nipponica, veramente ampio e complesso nelle sue sfaccettature storiche, culturali, antropologiche, gustative ed economiche.
Tuttavia, vista la diffusione di quest’arte culinaria, è utile avere almeno una infarinatura delle principali ricette e preparazioni dell’estremo oriente. Lo scopo di questa lettura è quello di acquisire la minima consapevolezza di ciò che troviamo nel piatto quando ci sediamo in uno dei tanti ristoranti giapponesi o sedicenti tali, ma anche per provare ad esplorare novità gustative che vadano oltre i soliti piatti della cucina modaiola.