di Barbara Sénès, cantante, esperta di musica barocca e critica musicale che ci racconta di alcuni spunti gastonomici nel Don Giovanni di Wolfgang Amadeus Mozart e nella Cantata del Caffè di Johann Sebastian Bach.
Spunti gastronomici nelle opere di Wolfgang Amadeus Mozart e di Johann Sebastian Bach
Questi compositori, insieme al coevo di J.S. Bach Georg Philipp Telemann, peraltro padrino di suo figlio Carl Philipp Emmanuel, posso affermare siano i miei preferiti. Ho avuto il privilegio di interpretarne alcune opere di musica sacra come soprano corista, sia con la Schola Cantorum Santo Stefano di Genova diretta dal M°. Valentino Ermacora (ensemble specializzato nell’esecuzione del repertorio sei-settecentesco con strumenti originali), sia con altre formazioni. Sebbene cronologicamente inversi, affrontiamo prima, per motivi appunto gastronomici, il Don Giovanni.
Il Don Giovanni
Opera di Wolfgang Amadeus Mozart (Salisburgo 1756 – Vienna 1781) e Lorenzo Da Ponte (Ceneda – Vittorio Veneto 1749 – New York 1838) che hanno dato vita a un connubio magico, che ha portato alla nascita della cosiddetta Trilogia, in italiano, la lingua dell’Opera per eccellenza, e che inizia con le Nozze di Figaro e Don Giovanni, adattamenti entrambi di testi preesistenti, secondo la prassi dell’epoca, per concludersi con il Così fan tutte.
Come noto Mozart, figlio d’arte (suo padre Leopold è stato un grande violinista e anch’egli compositore, mentre sua sorella Anna Maria detta Nannerl una clavicembalista d’eccezione) ha mostrato un precoce talento dalla più tenera età e ha saputo spaziare tra tutti i generi musicali, con una commovente capacità compositiva. Ho trovato una bella definizione, che a me, mozartiana appassionata, è piaciuta moltissimo: Mozart è tutto e tutto sta in Mozart.
Dopo il grandissimo successo ottenuto dalle Nozze di Figaro, in particolare a seguito delle rappresentazioni di Praga (dove… non si parla che del Figaro e non si canta e si fischia che il Figaro… come si apprende da una lettera di Mozart), alla coppia Mozart – Da Ponte fu commissionata dal direttore del Teatro di Praga una nuova opera e la loro scelta cadde sul tema di Don Giovanni, già variamente trattato all’epoca. Il dissoluto punito ossia il Don Giovanni, K 527, debuttò quindi il 29 Ottobre 1787 a Praga. Da Ponte indirizzò la trama verso l’opera buffa, ma l’influenza mozartiana lo spinse a infondere nei personaggi profondità, umanità e soprattutto drammaticità.
Se il debutto a Praga fu accompagnato da grandissimo successo, non altrettanto accadde per le prime esibizioni di Vienna, sebbene all’opera fossero state aggiunte alcune arie e recitativi che, senza alterare il senso dell’opera, avevano contribuito ad infondervi ulteriore bellezza.
É la prima delle tre opere della Trilogia che ho conosciuto; la considero più in chiaroscuro rispetto alle Nozze di Figaro, così anche rispetto al Così fan tutte, si va da eccessi da commedia a quelli da tragedia, un’opera concettualmente impegnativa, nella quale trovano spazio sia la morte, sia un giudizio di carattere morale sulla condotta di Don Giovanni, non tanto sul suo libertinaggio, comunque diffuso nel Secolo dei Lumi, quanto piuttosto sul suo rifiuto a pentirsene. I personaggi sono ben caratterizzati: il servitore Leporello, trascinato nolente (o volente?) negli intrighi amorosi del padrone, le donne che ruotano intorno a Don Giovanni, una donna Anna che piange il padre ucciso, non consolata da un amante incolore come Don Ottavio, Donna Elvira, che ama profondamente Don Giovanni nonostante tutto, una Zerlina prossima sposa di Masetto, che non disdegnerebbe però Don Giovanni, il Commendatore.
Don Giovanni non si pente (… pentiti: no!), osa sfidare il Cielo, coerente con il suo credo. Anche la notte in se stessa è protagonista, una notte oscura, di cui Don Giovanni è tragico attore, e non basta il finale apparentemente spensierato dell’opera a cancellare il senso di angoscia e di inquietudine di cui si viene pervasi.
La cena del Don Giovanni
Ed eccoci alla nota particolare: la cena cui è invitato il Commendatore, prima che lo stesso si manifesti… Nel palazzo di Don Giovanni, nella Scena 17, la tavola è preparata, i musicisti sono al loro posto e il pasto sta per essere servito. Don Giovanni si siede a mangiare e si intrattiene ascoltando brani di opere, citazioni dai compositori Vicente Martín y Soler e Giuseppe Sarti, come anche una spiritosa autocitazione da Le nozze di Figaro, dal Non più andrai farfallone amoroso (nell’aria Già la mensa è preparata). Si snoda quindi un duetto tra Don Giovanni e il suo servitore Leporello, di cui riporto alcuni estratti:
Don Giovanni – Già la mensa è preparata. Voi suonate, amici cari! Giacché spendo i miei danari, Io mi voglio divertir …… Ah che piatto saporito!
Leporello – Ah che barbaro appetito! Che bocconi da gigante! Mi par proprio di svenir.
Don Giovanni – Versa il vino! Eccellente marzimino!
Leporello – Questo pezzo di fagiano, Piano piano vo’inghiottir.
Don Giovanni – Sta mangiando, quel marrano! Fingerò di non capir… Cos’è?
Leporello – Scusate! Sì eccellente è il vostro cuoco, Che lo volli anch’io provar
Sicuramente la servitù non aveva accesso alle prelibatezze destinate ai padroni, quindi il servitore Leporello non perde occasione di poter gustare un cibo di norma a lui precluso. Sebbene il cibo nel settecento Oltralpe stia mutando tipologia, in Italia si rimane fermi nel cibo abbondate e saporito in voga nel periodo barocco. In merito al Marzimino, mi sono incuriosita e ho cercato e apprezzato questo “eccellente” vino trentino, che pare Mozart avesse assaggiato durante il suo soggiorno a Rovereto, in uno dei viaggi in Italia compiuti da adolescente, che tanto furono formativi per la sua carriera musicale.
Il Marzemino è un vitigno autoctono italiano a bacca blu-nerastra con abbondante deposito di pruina. Comparso in Italia intorno al XV secolo nelle aree di Bergamo e Padova e diffuso anche in Friuli, viene oggi in particolare coltivato in Trentino. I grappoli presentano dimensioni medio grandi e raggiungono la piena maturazione tra la fine settembre ed primi di ottobre.
La cantata del caffè
Dopo una sostanziosa cena a base di cacciagione condita con un buon vino rosso … ci vorrebbe un bel caffè … ed eccoci alla Cantata del caffè di Johann Sebastian Bach. J.S. Bach, Eisenach 1685 –Lipsia 1750, grande compositore e musicista (Thomaskantor di Lipsia dal 1723 alla morte) è considerato uno dei più grandi geni nella storia della musica e sul suo conto ci sarebbe troppo da ricordare. Nell’ambito delle sue opere – notevoli per profondità intellettuale e padronanza dei mezzi tecnici ed espressivi – spiccano forme musicali come il canone, la cantata e la fuga. In particolare le cantate da chiesa di Bach furono composte di norma per il susseguirsi delle esigenze del calendario liturgico.

Accanto al repertorio sacro, compose anche alcune cantate profane, tra cui appunto questa, Schweigt stille, plaudert nicht (ovvero Fate silenzio, non chiacchierate) BWV 211. Nota anche come La Cantata del caffè (Kaffeekantate), venne scritta tra il 1732 e il 1734 per essere eseguita al caffè Zimmermann da parte del Collegium Musicum lipsiense. Il libretto è di Picander, pseudonimo di Christian Friedrich Henrici (Stolpen, 1700 – Lipsia 1764), che lavorò su molte delle cantate che Johann Sebastian Bach compose a Lipsia, come anche su quel caposaldo della storia della musica che è la Passione secondo Matteo BWV 244, peraltro recentemente mirabilmente eseguita al Teatro Carlo Felice di Genova da Coro e Orchestra dell’Accademia Maghini di Torino; ricca di commovente pathos quest’opera fonde corali evangelici alla trama della Passione nell’ambito del dramma barocco. L’organico vocale della Cantata del Caffè è piuttosto snello, composto dal narratore (tenore), da Herr Schlendrian, il padre (basso) e Lieschen, la figlia (soprano); flauto, archi e basso continuo costituiscono l’organico orchestrale.
All’inizio della cantata, di argomento umoristico, il narratore presenta il signor Schlendrian, che si lamenta della figlia disobbediente Lieschen e le chiede di smettere di bere caffè. Lei, nel rifiutare, elogia il caffè come più dolce di un migliaio di baci. Suo padre la minaccia che se non smette di bere caffè, le proibirà le passeggiate e non le comprerà più abiti alla moda e nastri per cappelli, ma Lieschen risponde che farà a meno di tutto pur di continuare a bere il suo caffè. Alla fine il padre giunge a minacciarla di non permetterle di sposarsi. Lieschen allora cambia idea, promette di non toccare più il caffè e chiede a suo padre di andare lo stesso giorno a cercarle un corteggiatore.
Segnalo come molto suggestiva, al di là del significato dal testo, l’Aria di Lieschen: Heute noch, Lieber Vater, tut es doch! A questo punto finisce il libretto di Picander; ma Bach ha aggiunto altre due parti (del cui testo l’autore è sconosciuto), nelle quali il narratore spiega che mentre il padre è andato in città per cercare un corteggiatore per la figlia, Lieschen fa segretamente pubblicare che accetterà solo chi prometterà, e anche stipulerà nel contratto di matrimonio, che lei potrà fare il caffè ogni volta che vuole. Alla fine, tutti cantano insieme che proprio come un gatto non smette mai di prendere un topo, le ragazze non smetteranno mai di bere il caffè, proprio come fanno le loro madri e nonne.
Il caffè
Il caffè: diffusosi tra le popolazioni arabe e musulmane, non rimase a lungo sconosciuto ai mercanti veneziani che ne portarono in Italia un carico nel 1615, data cardine per il commercio del caffè. La sua diffusione nei paesi di lingua tedesca ebbe un ritardo rispetto a quello dei paesi dell’Europa meridionale a causa della predilezione popolare per la birra. Nel 1679 fu aperto il primo caffè nella città di Amburgo, nel nord della Germania e successivamente in altre città, tra cui Lipsia, ove risiedeva Bach. Il successo della diffusione del caffè fu tale che Federico II di Prussia dovette dopo circa un secolo (nel 1781) promulgare un editto che ne frenasse lo sviluppo.
Termino qui, con la citazione di alcune curiosità e notizie, così come a illustrare questi brani musicali, ripromettendomi di cercare altri legami tra la gastronomia e la buona musica.