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La polenta resiliente made in Qualto

Conosci la polenta di Qualto? Una storia di resistenza e di resilienza. Lucarelli, narratore di trame oscure, la comincerebbe così.

In realtà di misterioso qui non c’è proprio niente, anzi, quel che c’è è tutto alla luce del sole: in uno dei borghi meglio conservati dell’Appennino bolognese, Qualto, un comune di S. Benedetto Val di Sambro, si custodiscono antiche ricette. Per la comunità locale, unita e coesa come se ne vedono poche, custodire una ricetta vuol dire cucinarla frequentemente, ogni famiglia con varianti segrete e ovviamente considerate decisive per la migliore riuscita del piatto, per poi consumarla tutti insieme, in piazza d’estate o nella canonica d’inverno.

Sapere contadino innovativo

Uno dei piatti più singolari è la polenta bianca di grano dove l’accento sul colore e la relativa appendice servono per differenziarla dalla polenta fatta con il mais bianco, di cui fa parte il mais Biancoperla, presidio Slow Food, tipico del basso veneto. Invece questa polenta è fatta con il grano e segue un procedimento di cottura molto particolare che coniuga abilità manuale e forza fisica, tanto da fare dire ai locali che: la polenta la fa la donna ma la mescola l’uomo.

Ma non è solo la realizzazione che rende particolare la ricetta: anche l’uso del grano è peculiare perché avere a disposizione questa materia prima a
più di 700 metri di altezza non è cosa frequente, e fa intuire come il territorio intorno alla frazione, e all’intero comune di S. Benedetto Val di Sambro sia bene esposto al sole per renderlo adatto alla coltivazione dei cereali e vi siano sempre stati mulini per la macina sia dei cereali che delle castagne che si coltivano con uguale profitto nei terreni più elevati.

Vale la pena soffermarsi sulla trasformazione dei prodotti in farina, perché la presenza del torrente Sambro ha favorito nel passato la costruzione dei mulini, e la relativa vicinanza al Savena, famoso per i suoi mulini sono fattori che se opportunamente sfruttati, assieme al recupero funzionale degli essicatoi per le castagne, possono favorire non solo il mantenimento di un attività agricola non trascurabile, ma anche diventare fattore di attrazione per un turismo slow che ben si integra nell’idea di sviluppo che accomuna Slow Food e l’amministrazione comunale.

Un video tutto da gustare

Queste “condizioni al contorno” come direbbero i matematici sono i fattori che ci fanno parlare di resistenza e resilienza, proprio a riguardo di questa storia apparentemente minore che narra l’anima di un borgo appenninico. Resistenza all’oblio nel perpetuare una ricetta, riproducendola nella quotidianità e nella convivialità del ritrovarsi attorno alla tavola, resistenza fisica necessaria per fare questa polenta; la Condotta di Bologna di Slow Food ha girato un video, in collaborazione con la comunità di Qualto e l’amministrazione comunale per Terra Madre Salone del Gusto edizione 2020/2021, in cui si vedono tutti i passaggi della ricetta compreso il mescolamento della polenta, che richiede un vigore “maschile”, accompagnato da una tecnica che richiede la spinta delle cosce, a testimoniare che la sola forza di pur nerborute braccia montanare, proprio non basta.

Tra resilienza e innovazione

Resilienza per l’utilizzo di una materia prima che proviene da grani locali, i cosiddetti grani antichi, che oltre a essere a km zero, costituiscono fattori di innovazione che collocano questi prodotti al di fuori della facile mitologia che questo concetto rischia di trascinarsi dietro. È paradossale affermare che i grani antichi portino innovazione nel settore dei cereali, i termini linguistici sono assolutamente contradditori, però la realtà dei fatti è proprio questa.

La Regione Emilia-Romagna – assieme alle comunità locali dell’Appennino bolognese e all’Università di Bologna: Facoltà di Agraria e Medicina; Policlinico S. Orsola – ha condotto alcune ricerche che hanno dimostrato come non solo le varietà di grano locali siano più resistenti alle malattie rispetto alle varietà tradizionali, richiedendo quindi meno trattamenti chimici, ma siano anche nettamente più resistenti all’attacco di microorganismi responsabili della produzione di sostanze altamente nocive per l’uomo, quali aflatossine e fumonisine, considerate tra le più cancerogene esistenti. Ovviamente i controlli sanitari permettono l’eliminazione delle farine contenenti quelle sostanze, ma ciò significa per il produttore agricolo che incappa in questo accidente, la perdita secca del prodotto e quindi una non sostenibilità economica della coltivazione di varietà tradizionali in condizioni climatiche particolari come quelle delle vallate appenniniche. Va da sé che questa affermazione contrasta con la tradizionale coltivazione del cereale, e la ricetta di cui si parla e la presenza storica dei mulini attestano come sia stata praticata da tempi immemori, per cui resilienza si traduce in pratica nel ritorno alla coltivazione di queste varietà per permetter al territorio di sviluppare di nuovo quelle potenzialità che le sono proprie.

Nel frattempo godiamoci ‘sta polenta e l’ingegno dei Qualtesi…

Un cenno particolare meritano le proprietà nutrizionali delle farine derivate dai grani antiche che hanno glutine di qualità più adatta (minore “forza”) ad aumentare la digeribilità, riducendo quindi i problemi di intolleranza. E qui il discorso scivola facilmente verso il gusto di questi prodotti e della polenta di grano antico che gli amici di Qualto ci hanno preparato: difficilmente si dimentica il profumo di pane appena sfornato che si sparge in cucina mentre il paiolo cuoce, così come difficilmente si riesce a sottrarsi al bis (ma anche al tris…) accompagnato dal sugo di pollo alla cacciatora o dal sugo con i mazzapecc… ma questa è un altra storia, direbbe Lucarelli.