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Il punto sulla malattia da Xylella – Slow Food Bologna

Di Nicolò de Trizio, Comitato di Condotta Slow Food Bologna e medico

2020. In questo difficile periodo di isolamento forzato per le disposizioni governative di contenimento dell’infezione, mi sono dedicato a fare il punto della situazione su di un’altra infezione, quella che da alcuni anni colpisce gli olivi in Puglia, e ciò mi consente di fare alcune riflessioni, evidenziare punti critici ma anche numerose analogia con l’epidemia da Covid-19.

Cosa è la Xylella?

Sono diversi anni che si parla della Xylella e dei gravi danni agli olivi pugliesi; se ne parla soprattutto in Puglia, a fronte di una certa indifferenza del Centro-Nord d’Italia e sulla stampa nazionale, sicchè ho avuto modo di acquisire notizie soprattutto nel corso delle mie frequenti scorribande in questa Regione, da me tra le più amate. Si trattava il più delle volte di brevi notizie lette sulla Gazzetta del Mezzogiorno o ascoltate su Tele Norba o sulle radio locali, mentre gli ulivicoltori da “Bari in su”, mostravano un atteggiamento distopico sull’argomento, quasi come non li riguardasse.

La questione, comunque, rappresenta lo specchio di atteggiamenti e sistemi che non valgono solo per la Puglia e per la sua agricoltura, ma anche e soprattutto per il costume nazionale sostenuto da difficoltà ad affrontare i problemi con competenza scientifica, equilibrio e buon senso, nonché opportunismi politici, incapacità di accantonare gli egoismi ed interessi più vari, tutti fattori forieri di sostanziale immobilismo operativo. Farò di seguito una breve analisi delle figure e delle entità che si sono distinte in questa farraginosa vicenda, a mio parere definibile un vero e proprio pasticciaccio all’italiana.

Dove ha avuto origine la diffusione?

Si tratta della malattia prodotta da un batterio, la “Xylella” (detta fastidiosa) originario del Sud America; possiamo considerare la patologia figlia della globalizzazione, perché è frutto dello scambio di piante tra un continente e l’altro.

Da un focolaio iniziale vicino a Gallipoli, l’infezione si è estesa a tutto il Salento (province di Lecce, Taranto e Brindisi), una delle zone cardine della produzione olivicola Italiana, che conta 170.000 ettari di uliveti. Secondo gli ultimi report dell’Osservatorio Fitosanitario della regione Puglia gli alberi colpiti dal batterio sono milioni e l’infezione tende ad avanzare inesorabilmente verso nord con una velocità media di circa 2 chilometri al mese: a questa velocità nell’arco di alcuni anni l’infezione, dopo aver contagiato tutta la Puglia, potrebbe giungere in Campania. 

Cosa dice la scienza ufficiale?

Secondo gli studi scientifici il batterio è responsabile del Complesso da disseccamento dell’olivo malato (CoDiRo). Numerose ricerche pubblicate su riviste scientifiche nazionali ed estere testimoniano che la percentuale media di olivi sintomatici in cui si reperisce Xylella fastidiosa è pari al 93%, mentre la percentuale media di olivi non sintomatici in cui si reperisce il batterio è pari al 7%; la differenza in contenuto di Xylella fastidiosa tra ulivi sintomatici e non sintomatici è altamente significativa. Sulla base dei predetti risultati è appropriato formulare l’affermazione scientificamente valida di relazione causale fra il batterio e la malattia da disseccamento degli ulivi.

Purtroppo l’EFSA (Agenzia europea per la sicurezza alimentare) ha chiarito che non è ancora stata trovata la cura in grado di eliminare il batterio vegetale Xylella fastidiosa: alcuni trattamenti sperimentati negli ultimi anni possono ridurre i sintomi, ma non eliminano il batterio. Pertanto, secondo le indicazioni della U.E. l’applicazione delle misure di contenimento mediante taglio delle piante infette e di quelle suscettibili di infezione nel raggio di 100 metri, resta l’unico modo per fermare la malattia. Inoltre sono stati individuati trattamenti specifici per i vettori del batterio, in particolare la cicalina sputacchina. 

Sono state considerate dalla scienza ufficiale anche alcune sperimentazioni effettuate dal batteriologo Marco Scortichini e dal suo team, che sono basate sull’applicazione agli alberi infetti di un prodotto fogliare spray a base di zinco, rame e acido citrico; una di tali ricerche comprendeva l’abbinamento del trattamento chimico a tecniche agronomiche aggiuntive di potatura e rimozione di erbe infestanti. Le ricerche hanno ricevuto un accoglienza molto controversa, fra attacchi e critiche feroci da parte del composito fronte scientifico, ma anche caute valutazioni da parte dell’EFSA. Tale organo scientifico ha preso atto che il trattamento proposto da Scortichini conduce alla riduzione della gravità della malattia (45% di ramoscelli secchi in meno rispetto agli alberi di controllo) ma non il pieno controllo della malattia.  

Quali sono gli effetti sugli agricoltori?

Gli olivicoltori sono l’anello debole della filiera, ma a subire danni collaterali sono anche il settore vivaistico, gli agriturismi ed il settore turistico pugliese nel suo insieme: la bellezza del territorio, di cui gli oliveti rappresentano componente essenziale, viene notevolmente sminuita e deprezzata, senza contare le conseguenze sul piano economico e dell’occupazione. Sono comprensibili le resistenze degli agricoltori ad affrontare dolorosi espianti di piante centenarie o addirittura millenarie, che rappresentano elemento intrinseco della tradizione contadina pugliese. Una parte di responsabilità, però, ricade sugli stessi agricoltori, i quali sono incolpati di eccessivo uso di sostanze chimiche e cattive pratiche agricole, che hanno contribuito (unitamente ai cambiamenti climatici ed alle carenze d’acqua) ad indebolire i terreni, ad impoverire la biodiversità, quindi a rendere più vulnerabili gli olivi.

La vicenda giudiziaria

A complicare ulteriormente il problema si è inserita una indagine della Procura della Repubblica di Lecce, durata circa 4 anni e conclusasi nel 2019, nella quale i Magistrati contestavano a numerosi ricercatori dell’Università di Bari di aver contribuito a diffondere colposamente la malattia alle piante, ma anche di falso materiale e ideologico in atti pubblici, distruzione o deturpamento di bellezze naturali. Al termine dell’inchiesta il Tribunale di Lecce ha archiviato tutte le accuse visto che non è stata trovata alcuna prova del fatto, ma il decreto di archiviazione, pur non rilevando alcun reato perseguibile penalmente, rovescia sui ricercatori prosciolti critiche di falsità, negligenza, sciatteria, esponendo gli stessi scienziati al linciaggio mediatico. In sostanza la vicenda giudiziaria ha alimentato teorie complottiste, bloccato il sereno approfondimento tecnico e, in ultimo, ritardato di anni il necessario processo decisionale per affrontare in modo efficace la malattia, producendo ulteriori danni all’agricoltura e all’ecosistema pugliese.

Cosa dicono i politici?

In una serie di avvenimenti di così difficile interpretazione, i politici nazionali e locali non hanno brillato per saggezza e tempestività. Inizialmente vari esponenti politici di diversi partiti, utilizzando le scarse indicazioni scientifiche e le pressioni degli agricoltori, ma anche considerando le teorie complottiste (si sosteneva che il batterio fosse stato creato dalla Monsanto per eradicare gli ulivi salentini e sostituirli con altrettanti ulivi Ogm), osteggiarono la strategia del contenimento. La vicenda giudiziaria ha rappresentato una ulteriore sponda alla promulgazione di provvedimenti con fondamento tecnico.

In seguito quegli stessi politici hanno dovuto fare marcia indietro di fronte al disastro che si è manifestato nell’arco di pochi anni ed ora stanno cercando di correggere una serie di conclamati errori e ritardi, figli spesso di un atteggiamento antiscientifico nei confronti del problema. Quindi negli ultimi mesi stanno partendo i provvedimenti per aiutare concretamente gli agricoltori a combattere la malattia.

Le istituzioni locali

Dopo anni di continui rimpalli di responsabilità tra Unione Europea, Ministero e Regione, recentemente è stato approvato il Piano nazionale per sostenere gli agricoltori colpiti dell’area infetta dalla xylella, mediante uno stanziamento di 300 milioni di euro. Inoltre il Bilancio regionale della Puglia 2019 liberalizza la diversificazione colturale, consentendo agli agricoltori di piantare, dopo gli espianti, altre varietà di ulivo più resistenti (Leccino, FS17) oppure mandorli o fichi al posto degli ulivi colpiti dal virus della Xylella. 

Il provvedimento è stato impugnato dai ministeri che fanno riferimento al codice dei Beni Culturali, creando intralcio alla liberalizzazione di tutte le pratiche agronomiche necessarie. E’ il solito film della burocrazia più retrograda che rallenta ed ostacola la risoluzione dei problemi. Di fatto i tempi d’attesa già lunghi per ottenere tutte le autorizzazioni all’espianto, si allungheranno ulteriormente per ottenere i fondi stanziati e per creare nuove colture resistenti alla malattia.

Le istituzioni europee

Xylella fastidiosa era conosciuta dalla fine del 1800 come agente della devastante malattia di Pierce che colpiva la vite; la presenza di Xylella fastidiosa è stata segnalata nell’olivo con disseccamenti parziali in California nel 2007, ma si sono aggiunte notizie da vari punti del continente americano.

In Italia le prime segnalazioni della presenza di Xylella negli olivi in provincia di Lecce risalgono al 2013. Secondo uno studio dell’ente scientifico EFSA dopo l’Italia sono stati identificati nuovi focolai in Francia (Corsica e Provenza), Spagna (Alicante e Baleari) e Portogallo. 

Xylella fastidiosa viene quindi considerata una grave minaccia per tutta l’olivicoltura mediterranea ed europea.

A causa della pericolosità di questo patogeno nei confronti di numerose specie vegetali coltivate e spontanee, e per avversare il rischio della sua diffusione, l’Unione Europea ha disposto azioni per prevenirne la propagazione, mediante eradicazione delle piante e misure di contenimento nelle aree contaminate. Tali misure in Puglia hanno provocato reazioni e anche ricorsi alla magistratura amministrativa, tuttavia la Corte di Giustizia Europea ha confermato la legittimità delle misure previste dalla normativa unionale per eradicare il batterio. La Commissione europea ha infine deferito l’Italia alla Corte di Giustizia Ue per non aver pienamente applicato le misure indicate, tra cui l’abbattimento delle piante malate, per impedire la diffusione di xylella fastidiosa, ritenuto batterio killer degli ulivi nel territorio dell’Unione Europea.

Di fronte alle indicazioni di utilizzare pesticidi come cura primaria, si è osservato che i pesticidi da soli non sono sufficienti e il loro uso deve andare di pari passo con l’abbattimento e la rimozione degli alberi infetti al fine di impedire ai vettori di acquisire il batterio e trasmetterlo ad alberi sani.

Nelle aree già devastate, gli agricoltori ed i ricercatori stanno lavorando insieme per coltivare varietà di olive resistenti alle piante, per far rivivere i frutteti colpiti da potature pesanti, creare nuovi innesti, praticare una migliore gestione del suolo con applicazione di spray più organici.

In questo momento, ciò che si può fare è cercare di far convivere nel modo migliore la pianta e l’ospite indesiderato.

Le mie conclusioni

Xylella è un microrganismo che non rappresenta un pericolo diretto per la salute degli esseri umani, ma, come si è spiegato, è in grado di determinare gravi danni agli olivi, di conseguenza alle tradizioni ed all’economia di una intera regione. 

Analizzando la letteratura scientifica nazionale ed internazionale si ritiene appropriato definire il batterio quale fattore causale rilevante per l’insorgenza del disseccamento degli ulivi in Salento; tale conclusione, secondo le indicazioni popperiane, va considerata valida scientificamente fino a che non sarà confutata secondo il principio di falsificabilità. 

Tuttavia sono emersi fattori aggiuntivi che possono essere considerati favorenti la malattia: l’impoverimento dei terreni, l’uso massiccio di pesticidi, scarsa cura delle piante e dei terreni stessi. Si deve ritenere valida anche l’ipotesi che Xylella non sia l’unica causa della malattia, ma agisca in via concausale approfittando della vulnerabilità delle piante e dei terreni. Considerando che non è attualmente conosciuto il trattamento per sconfiggere il germe patogeno, molti produttori salentini hanno deciso di far convivere nel modo migliore la pianta e l’ospite indesiderato utilizzando un prodotto a base di zinco, rame e acido citrico, consentito in agricoltura biologica, associando buone pratiche agricole mediante arature dolci e regolari, potature frequenti, rimozione di erbe infestanti. Tale protocollo, sicuramente più laborioso, ha consentito di rallentare la malattia evitando tagli indiscriminati, di ricominciare a raccogliere le olive e produrre olio di buona qualità. In pratica questi produttori hanno deciso di provare a convivere con il batterio cercando di migliorare la cura delle piante e dei terreni, nella speranza che in futuro si riesca a trovare un rimedio efficace contro il batterio patogeno. In base ai contesti territoriali ed agli aiuti attribuiti dalle istituzioni, gli agricoltori potranno decidere se mantenere gli olivi o eradicarli provando a piantare o innestare tipologie più resistenti ovvero a trasformare le colture inserendo altre tipologie di piante quali mandorli o fichi, comunque sempre rispettose della tradizione mediterranea.

Infine, come ultima considerazione, penso che dobbiamo tutti tenere presente che le infezioni, siano esse derivate da batteri patogeni per le piante oppure da virus nocivi per le persone, fanno parte del complesso naturale del nostro pianeta sul quale non sempre è possibile ottenere un completo controllo. Le esperienze passate, ma anche quelle in atto, ci insegnano che le crisi biologiche mettono in evidenza i difetti della globalizzazione spinta ai massimi livelli ed il neoliberismo sfrenato di questi ultimi decenni. Pertanto la filosofia di derivazione giudaico-cristiana secondo cui l’umanità ha il dominio completo sul mondo, tipica della nostra civiltà occidentale, va profondamente rivista e sostituita da un paradigma differente basato sulla convivenza solidale, sull’economia umana, il rispetto per l’ambiente e per la biodiversità. 

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La Condotta di Bologna è attiva dal 2005 ed è la custode del movimento Slow Food all’ombra delle due torri.


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